Filosofia della Scienza
Incontri del giovedi
(Pagina temporanea)
Serie Grandezza e miseria della psico-logia
- Luigi Pirandello. Il_berretto_a_sonagli (1917)
Wikipedia
Acquista in regia di Eduardo De Filippo
DVD 1981
- Carlo Mazzacurati. A CAVALLO DELLA TIGRE Italia (2002)
Recensione su "Sentieri Selvaggi".
Feedback su `Time':
- Messaggio da DG 25 nov 2010
Buonasera Professore,
questo film lascia davvero a bocca aperta, infatti ho iniziato ad
articolare i primi commenti sulla via di casa...
E' bello notare le numerose differenze culturali tra noi e
l'oriente, ma è anche altrettanto bello vedere come i sentimenti siano
molto simili ai nostri.
Invidia, gelosia forse sono i più evidenti ma secondo me c'è in
entrambi i protagonisti una profonda insicurezza e incapacità (tipica
di questa generazione) di rapportasi e con se stessi e con il mondo esterno;
ne viene di conseguenza la paura del tempo che avanza...
Ed è qui che entra in gioco la parte patologica del film: il
desiderio quasi morboso di voler essere qualcun altro per sentirsi
accettato...
Penso che tutti noi almeno una volta nella vita abbiamo desiderato di
cambiare pagina e ricominciare,poi però resta sempre (o quasi) un
desiderio che riusciamo a superare.
Ci sarebbero moltissimi altri spunti ma ne scrivo ancora solo due:
-- Il fatto che sin dall'antichità ci vengano riproposte situazioni
molto simili a queste,dove i sentimenti in gioco sono sempre gli
stessi fa pensare.. Nella nostra storia l'uomo ha cambiato il mondo
intorno a sè migliorando le sue condizioni di vita ma non siamo stati
capaci di migliorarci dentro,anzi..
-- La "colpa" è nostra, intendo dell'occidente che dal secondo dopo
guerra ci martella con le idee di bellezza,perfezione (e se non sei
bello non sei nessuno), ha ridotto la nostra capacità di pensare
autonomamente con reality e tv spazzatura arrivando a farci credere
che l'importante è quello che appari agli altri.. Ed è in questo mondo
di eccessi (di vario genere) che si inserisce questo film, dove i
personaggi trovano sfogo alle loro problematiche nei mezzi moderni:
chirurgia estetica ad esempio (alla ricerca del modello perfetto).
Concludo dicendo che questi film di solito sono un'istantanea della
società... Beh,spero con tutto il mio cuore di sbagliare!!!
Grazie,
DG
- Risposta di Gianluigi Bellin 26 nov 2010
Concordo, anzi è forse piu` importante sottolineare le somiglianze
culturali tra noi e l'oriente!
La paura del tempo che avanza non va imputata solo alla insicurezza di
questa generazione.
Si dice che la Contessa Castiglione, patriota, diplomatica del Conte Cavour
presso Napoleone III, donna bellissima e certo non insicura nei rapporti
con l'imperatore dei francesi, divenendo anziana abbia fatto coprire di
un velo tutti gli specchi del suo palazzo per non vedere il suo viso.
Questa mattina mi è venuto un pensiero "temibile": forse dal punto di
vista di Kim Ki-duk non c'è una valutazione morale sulla scelta di
Seh-hee, forse la chirurgia plastica apre una strada nuova al desiderio di
staccarci da situazioni passate che sono divenute intollerabili, come
dice lei:
Penso che tutti noi almeno una volta nella vita abbiamo desiderato di
cambiare pagina e ricominciare, poi però resta sempre (o quasi) un
desiderio che riusciamo a superare.
Come ho detto in classe, una situazione di cancellazione del proprio passato
(per morte presunta) compare nel film Reporter di Antonioni, ma conduce solo
alla morte reale.
Invece la mia domanda "temibile" è se dal punto di vista di Kim Ki-Duk
sia possibile vedere in questo distacco dal passato anche un elemento
accettabile, se cioè il `distacco' non sia, come nella nostra cultura,
un metodo per raggiungere l'unità dell'io ad un livello piu` profondo,
ma invece l'inevitabile abbandono di un `pezzo' del sè.
Ma il desiderio di riconoscimento, e di riconciliazione con il passato,
è al cuore della cultura occidentale: in particolare è cruciale in
Shakespeare. Forse occorrerebbe vedere a questo proposito qualche
pezzo di teatro di Shakespeare...
Buona serata
Feedback sui tre films di Kim Ki-Duk visti finora.
- Tematiche di Kim Ki Duk a confronto
Sembra che ci sia un filo conduttore che lega la produzione di questo regista
coreano, a partire dal ruolo del silenzio, della natura, della scrittura,
della relazione, del vuoto in essa.
Il SILENZIO sembra essere sempre lo sfondo, accanto alla NATURA, delle diverse
e successive inquadrature, perché così si lavora per poi inserire i
protagonisti e le loro relazioni.
- In Ferro 3 poi il silenzio del protagonista, che lo ricerca nelle
case degli altri, che lui osserva mentre stanno per lasciare la casa vuota,
fino al loro ritorno, è decisamente centrale. Egli si ritaglia così uno spazio
che dal vuoto via via riempie con le sue scelte, dal lavare i calzini e
stenderli ad asciugare, quasi una ritualità, ad accendere musica o a scattare
fotografie; quando si incontra con la violenta relazione, allora sta dalla
parte del più debole (sarebbe stata la stessa cosa se violenta ed aggressiva
fosse stata la donna…!) ed il lento gioco della biglia che passa e scorre
dalle mani di lui a quelle di lei è di un acceso erotismo, perché scioglie
ogni tensione e prepara l’abbandono alla fiducia di lei nel suo giovane
protettore: da questo momento in poi tutto sarà fatto insieme.
Nella prigione, con le sue braccia, con il suo corpo tutto egli descrive
nell’aria come una SCRITTURA della propria libertà interiore; questo gli
giova e lo fa scomparire alla realtà che lo circonda. Il trionfo è nel suo
nientificarsi, mentre bacia lei, che è abbracciata dal marito, ora
pago per averla felice secondo i suoi schemi. Se la violenza crea il vuoto
tra i due coniugi, il protagonista lo riempie, con il suo modo di essere:
di lui si sanno cose solo dalla bocca dei poliziotti, mentre la ritualità
della moto in accensione, in partenza o in sosta per abitare il vuoto
degli altri, e quella del gioco di precisione con la mazza sono il suo modo
di ‘entrare nella città’, standosene fuori.
Ecco perché questo può definirsi un film politico, come sosteneva il
prof. Bellin: isola il soggetto, mentre tutto intorno le cose e le persone si
muovono con un altro ritmo, una politica altra, della interiorizzazione e
dell’osservazione -forse anche Marx lavorava così alla stesura de DAS KAPITAL,
dal suo studio, mentre nelle piazze succedeva di tutto-
Il parallelo occidentale di questo film è LE VITE DEGLI ALTRI - alla sua
uscita ha fatto scalpore e meritato premi- del regista tedesco Florian Henkel
Donnersmark, sulla Berlino degli anni ’80, quando la polizia politica della
DDR poteva entrare nelle case e violentare ogni aspetto privato del cittadino
sospettato: aspetti chiari di una PSICO-LOGIA al servizio del sopruso e del
potere sono scanditi in dettaglio e con grande maestria (questo regista è ora
nelle nostre sale con il film THE TOURIST, girato a Venezia, città assai amata
dal nostro Carlo Mazzacurati)
- In Primavera, estate, autunno ed ancora primavera c’è il silenzio
della preghiera e le lente riprese di tutta la natura circostante, stupenda:
il ruolo dell’immagine, della rappresentazione interiorizzata, quella del
sonaglino che si muove all’arrivo di qualcuno alla porta – si tratta di un
pesciolino di metallo con un sasso legato sulla groppa - ha la forza centrale
di un centro intorno al quale ruota tutto lo sviluppo della relazione
tra maestro ed allievo perché il piccolo vorrà fare la stessa cosa
agli animaletti vivi e pagherà con il rimprovero anche la punizione:
qualcosa di morto è entrato nella sua vita, provocato da lui stesso.
Con la relazione d’amore c’è come un capire ulteriore che la libertà è
una dimensione ‘naturale’ degli esseri –il pesciolino passa dalle mani
dei due e poi di nuovo in acqua, in libertà ed è bello vederlo guizzare
per poi rientrare nel suo elemento naturale- Lui porta lei sulle spalle,
perché appagata d’amore e senza forze e certo in questo momento poco sa
della tragedia che la sua libertà gli farà vivere. A tragedia avvenuta
la scrittura, lenta ed incisa sul legno, vuole fare mettere in rapporto
il senso delle lettere ed il loro significato per la mente ed il cuore
dei protagonisti, dal maestro al giovane ed alle guardie. Il volto velato
della donna che lascia il bimbo al monaco, giovane erede di un maestro
che è arrivato da solo alla luce, è un tema assai caro al regista, ma
di grande complessità e di profonde origini religiose.
- In Time il silenzio è quello, all’inizio del film, dello strumento
chirurgico che descrive lettere nere, i punti sulla pelle, nel volto della
giovane, ed alla fine è quello della chele del grande granchio, nell’acquario
in primo piano, mentre sullo sfondo il protagonista sta decidendo con il
dottore di cambiarsi il volto, con l’impiego di quello strumento.
Un parallelo importante perché mostra il giudizio intenso del regista su ciò
che è ‘naturale’ e ciò che è ‘artificiale’. Cambiare il volto non cambia
te stesso dentro ed il tuo modo di guardare resta sempre lo stesso,
in effetti la protagonista, con il volto differente, ha gli stessi scatti
di gelosia e nervosismo che prima dell’intervento, ma la scelta di lui,
di modificarsi rispetto a prima ha un esito fatale perché non nasce da dentro,
è artificiale. Anche qui il volto velato dal lenzuolo del protagonista mette
in risalto quasi il rifiuto, il distacco dalla realtà che ti circonda,
per porre un diaframma, per evitare di guardare ciò che sconvolge troppo…
Tanto ci sarebbe da dire nel rapporto tra l’io ed il sé più profondo,
ma sembra, per Kim Ki Duk che la felicità e la vera identità di una
relazione stia in quella scrittura, più volte sovrapposta, in rosso e nero,
del ‘TI AMO’, di lei a lui, quando erano ancora nella gioia.
Questo è il film più politico rispetto agli altri perché sottolinea
con forza la violenza invasiva della tecnologia che è al servizio
dei desideri di ciascuno, qualunque essi siano ed indipendentemente
dalle sofferenze che comportano, pur di allontanarsi da qualcosa
che viene vissuto come fonte di malessere e di disagio. Per esempio,
quando la protagonista invita l’amato ad avere l’orgasmo pensando alla
ragazza vista nel bar, poi, quando ciò è accaduto, allora quasi sclera,
impazzisce, e decide di cambiare il suo volto, in preda ad una valutazione
distorta della relazione…
I. P.
Feedback su `Il fiore delle Mille e una notte' :
- Commento di Gianluigi Bellin.
Lungi da me la pretesa di proporre una analisi critica del capolavoro di
Pier Paolo Pasolini, forse il più amato della trilogia che comprende anche
Il Decamerone e I racconti di Canterbury .
Ma devo pur spiegare perché ho introdotto questo film in questa serie,
dopo aver considerato alcuni aspetti del disagio nei rapporti interpersonali
nella cultura italiana ed occidentale ed inoltre il modo in cui simili disagi
vengono affontati nella cultura dell'estremo oriente.
Il fiore delle Mille e una notte, girato in Yemen, Persia, Nepal,
Etiopia ed India, presenta un mondo pre-moderno fantastico come luogo dove
le relazioni umane sono ancora libere dall'alienazione, dall'impoverimento
e dalla volgarità che Pasolini vede nel mondo della modernità capitalistica:
un mondo dove c'è ancora la capacità di cogliere il mistero e la meraviglia
dell'esistenza, un mondo dove `le lucciole non sono ancora scomparse'.
In questo film Pasolini si confronta con una visione del Fato che ricorda
quella del mito greco di Edipo (l'impossibilità di sfuggire al Fato è il tema
del secondo dei racconti dei dervishi,
La storia dei due dervishi), che si
coniuga con l'abbandono alla volontà divina proprio della tradizione islamica;
ma il tema del fato occorre dovunque nel film.
"I Dervishi sono i discepoli di alcune confraternite islamiche (turuq) che,
per il loro difficile cammino di ascesi e di salvazione, sono chiamati a
distaccarsi nell'animo dalle passioni mondane e, di conseguenza, dai beni
e dalle lusinghe del mondo. Si tratta di un termine afferente a molte
generiche confraternite islamiche sufi, anche se tendenzialmente ci si
riferisce alla ṭarīqa della Mawlawiyya/Mevleviyè. I dervisci sono asceti
che vivono in mistica povertà, simili ai frati mendicanti cristiani"
(per es. i francescani) (Wikipedia).
Pasolini elimina la cornice narrativa di Shahrazad (ma anche quella
"moderna" da lui consuderata nella sceneggiatura): nel "passaggio dalla
sceneggiatura alla realizzazione, la novella di Nur ed-Din e Zumurrud
sostituisce la cornice e diventa la narrazione principale, sviluppata
lungo tutto il film e non più nel solo aecondo tempo, una novella-contenitore
all'interno della quale vengono raccontate le altre storie [...], in un gioco
di rimandi a scatole cinesi."
(Gianni Canova, Prefazione, in Pier Paolo Pasolini, Trilogia della vita.
Le sceneggiature originali di Il Decameron, I racconti di Canterbury,
Il Fiore delle Mille e una notte, Garzanti, 1995. p. 32).
Consideriamo questa "novella-contenitore": è una storia di amore
eterosessuale tra Zumurrud, una schiava saggia e previdente e
Nur ed-Din, giovane e bello, ma ingenuo e poco accorto; Nur ed-Din
ben presto perde la sua schiava, ma continua a cercarla. L'intero film
contiene un catalogo di relazioni sessuali di ogni tipo, suggerite anche
se non rappresentate, compresi l'amore omosessuale e l'amore dei ragazzi,
ma è incorniciato in una storia eterosessuale a lieto fine; questo evoca
la struttura classica dei romanzi in cui i protagonisti ritrovano se stessi
ritrovando la persona amata. La ricerca della felicità e la maturazione
dell'identità personale, il "ritrovamento del sè" attraverso il ritrovamento
dell'amato/amata è un motivo dominante del teatro e del cinema, e si ritrova
nei massimi capolavori della letteratura occidentale.
Ma cosa possiamo dire della storia d'amore tra Zumurrud e Nur ed-Din, e sulle
circostanze e vicende che hanno reso possibile il loro ritrovamento?
Feedback su `A cavallo della tigre':
-
Commento di Gianluigi Bellin.
Certamente un commento su questo film, che è un remake dell'omonima opera
del 1961 di Monicelli, richiederebbe un confronto con il modello; entrambe
le versioni sono commedie all'italiana, anche se in questa, come
osservato in classe, ci sono elementi del realismo delle commedie del
britannico Ken Loach, della sua liberante durezza. Riporto qui alcune
impressioni ricavate dal solo film di Mazzacurati.
Non capisco perché i recensori non comprendano alcuni elementi essenziali
del film, come il ruolo di Fatih (la `tigre' del titolo) di cui Guido si fa
guida nel viaggio da Torino a Genova e poi nell'ultimo viaggio, affidandone
il corpo al mare. Fatih è un protagonista essenziale del film: essenziale
è la trasformazione che la solidarietà opera nei due personaggi in fuga,
consentendo a Fatih di ritrovare la sua umanità, e riconoscere la colpa per cui
ha speso la vita in carcere, l'uccisione della sua donna e dell'amante di lei.
La voce di Fatih, imperiosa nel carcere, ansimante e singhiozzante da malato
nella nave, ha straordinarie qualità musicali. Guido lo affida al mare avvolto
nella bandiera turca come un soldato. Prendendosi cura di Fatih, di colui che
aveva rovinato i suoi piani, Guido impara a riconoscere le conseguenze del male
ed a discernere ciò che è veramente importante e di superare la prova finale.
Importante è anche Deborah, la figlia di Antonella: nella scena dell'incontro,
nel puro kitch dei centri commerciali dove la donna ha le ali di plastica e
Guido sta al gioco fingendo una ferita d'amore, Deborah è un Cupido reale,
che con lo sguardo chiaro di un bambino incoraggia ed accompagna la relazione
della madre con Guido. È l'affetto tra Guido e Deborah, il suo desiderio di
salutarla, rivolgendosi a lei quando la madre lo ha congedato, e la risposta
sicura di Deborah, che convince infine la madre a saltare nel vuoto con Guido
ed a partire con lui.
Antonella è personaggio di patetica inconsistenza, debole e confusa come il
ruolo che la televisione italiana assegna alle donne e che
Paola Cortellesi interpreta appropiatamente. Ma questo personaggio trova il
suo riscatto dal ruolo di ragazza-calendario proprio grazie al legame di vera
solidarietà familiare che si è stabilito con Guido e Deborah, che lei è capace
di scegliere saltando nel vuoto con Guido.
Inoltre è importante il farsi nomadi dei personaggi per terra e per mare,
la loro capacità di lasciar andare ciò che è passato, e soprattutto il mare
che apre a loro la possibilità di nuova vita. È importante che sia la Turchia,
questo paese temuto dai bigotti anti-islamici di tutta Europa, il luogo dove
Guido Antonella e Deborah si preparano a costruire una nuova vita: è dunque
una commedia mediterranea quella che Mazzacurati ci ha proposto, che
mostra nel coraggio di affrontare nuove strade la via per uscire dall'impasse
di un'Italia e di un'Europa prigioniere della paura.
A cavallo della tigre non sarà forse un capolavoro, ma i suoi critici
non sembrano capire molto dei ricchi spunti contenutinel film.
- Commento di E. D. P.: (17 dic 2010)
Buonasera,
nel film "A cavallo della tigre" di Mazzacurati, ricorre il tema della fuga:
in primis la fuga dal carcere e in seguito quella verso un paese straniero,
la Turchia. E perché questa fuga? per non scontare interamente la pena
inflitta, per da una parte essersi macchiati di un omicidio plurimo e
dall'altra di una rapina. E così due reati sono rimasti non totalmente
puniti... a questo punto, mi viene da pensare, i furbi la vincono e gli onesti
soccombono? Beh anche se non sempre, purtroppo spesso `è così. Anche nella vita
reale, come nei film. Credo che Fatih avrebbe "ritrovato meglio la sua umanità
e riconosciuto la colpa per cui ha speso la vita in carcere" come lei dice,
aspettando la fine dei suoi giorni proprio in quel luogo. Ciò gli avrebbe
ridato la vera dignità. Anche il comportamento di Guido, suppur vittima del
compagno di cella che l'ha costretto a scappare a pochi giorni dalla
scarcerazione, e quello di Antonella, rimasta impunita, non sono facilmente
giustificabili. " il mare apre loro la possibilità di una nuova vita"
come lei dice, ma io aggiungerei troppo presto e senza troppe conseguenze.
L'unica vera vittima a questo punto della spiacevole situazione, rimane
Deborah, che, piccola e innocente, viene allontanata clandestinamente dalla
terra natale e deve pagare gli sbagli degli adulti. Grazie. Lettera firmata.
- Commento di G.B. (20 dic 2010)
Buon giorno,
alle preoccupazioni di E.D.P. aggiungerei che il ritrovare se stessi, il
ricostruire le relazioni sociali ed affettive fondamentali è un evento che
riguarda la persona ed il gruppo sociale di base, la famiglia, (in questo caso,
quella di Guido, Antonella e Deborah) cioè la dimensione morale,
esistenziale, non lo status legale dei cittadini.
Che `la legge sia per l'uomo e non l'uomo per la legge', cioè che questa
dimensione della persona sia centrale nella vita sociale, è riconosciuto nel
nostro ordinamento giuridico: la pena carceraria non è fine a sè stessa, ma
ha come fine la riabilitazione ed il reinserimento sociale dei detenuti.
Nella realtà da anni le prigioni italiane sono nell'insieme sovraffollate,
al di sopra delle capacità di alloggiamento anche in condizioni straordinarie;
in queste condizioni la riabilitaziione diviene impossibile. Questo è un fatto
noto, che è stato imputato all'Italia dalla Unione Europea.
Il tema dei poliziotti corrotti è comune nel genere della commedia, sia quella
mediterranea che in quella americana (vedi, p.es. `Irma la dolce').
Vi è in questo il riconoscimento che come tutte le realtà umane anche la
legge è un sistema imperfetto, ma in modo diverso in diverse condizioni:
se infatti un livello moderato di corruzione è consierato inevitabile da
alcuni pensatori politici (p.es. Vilfredo Pareto), un livello molto alto
puo` portare anche a sommovimenti sociali.
Il senso della legalità come tema morale, nel senso suggerito da E.D.P.,
è essenziale, ed è proprio di uno stato di diritto e liberale; riguarda i
singoli cittadini, ma anche e soprattutto le istituzioni politiche.
Il ritrovare questo carattere morale è possibile a condizioni che
occorrerebbe discutere in dettaglio: questo è il tema della filosofia politica.
Il tema della legge e della violenza nel pensiero politico moderno si articola
spesso in due diversi teorie del contratto sociale: in estrema sintesi,
si immagina che i membri di una comunità umana, per evitare le conseguenze
della guerra di tutti contro tutti decidano di stabilire un patto,
in cui consegnano allo stato il monopolio della violenza. Nel pensiero di
Thomas Hobbes questa rinuncia è senza condizioni: nulla, neppure un tiranno,
è peggio della guerra civile.
Nel pensiero di Locke invece se il sovrano viola i diritti fondamentali
dei cittadini, è legittimo fare una rivoluzione e deporlo.
La nozione di `contratto sociale' è un principio teorico, non una narrazione
storica. Ma si noti che per entrare in un contratto sociale occorre
voler mantenere una comunità di cui anzi si vogliono rafforzare i
legami. (Per inciso, non è del tutto chiaro che oggi in Italia vi sia
questa volontà di rafforzare lo stato di diritto: sembra che alcuni accarezzino
invece l'idea di una divisione delle comunità che abitano la penisola,
viste le grandi diversità di reddito, produttività e comportamenti sociali.
Questa è una strada che apre la porta a lotte civili molto penose.)
Infine un commento su Deborah. Il regista la presenta come il `Cupido' che
favorisce l'unione tra Guido e Antonella. È lei la prima a scegliere Guido
come nuovo padre. Nel finale del film, Deborah dice che ora tutto va bene
perché finalmente `siamo di nuovo tutti insieme'. Non le spiace emigrare in
un paese nuovo, in condizioni impreviste: ha la sua famiglia riunita.
`In questo paese non c'è l'estra.. (non riesce a dire estradizione) insomma,
non ti costringono a tornare in Italia se non lo vuoi.'
Feedback su `Légami!':
- Commento di Gianluigi Bellin Rivedendo questo film mi sono
domandato se veramente potesse essere preso come paradigma di una commedia
amorosa oggi, tra mille altre possibili scelte di bei films recenti e non;
mi sono anche domandato se, riproponendolo, non dessi valore ad un film
dallo stile discutibile, che giocava con argomenti controversi, come i
legami sado-masochistici, per catturare l'attenzione del pubblico,
cavandosela poi con una risata facile.
Devo dire che alla vista di uno dei primi film di Almodovar, come
Donne sul punto di una crisi di nervi, mi sentii di fronte ad un
regista minore, che aveva alle spalle un grande maestro, Luis Buñuel,
maestro dell'ironia surrealista nei tempi scuri della dittatura fascista
di Franco; mi pareva che Almodovar volgarizzasse lo spirito graffiante
del maestro in uno stile da avanspettacolo.
La Spagna degli anni 80 è un paese uscito dal fascismo e dall'isolamento
culturale imposto dal dittatore Francisco Franco, al potere dal 1939 al
1975, dopo aver vinto la guerra civile con l'aiuto di Hitler e Mussolini.
Se nel 1973 un attentato dei separatisti Baschi dell'ETA uccise Carrero
Blanco, possibile successore di Franco, tuttavia il ritorno della democrazia
in Spagna non portò a regolamenti di conti da parte della sinistra che era
stata espulsa dal paese per un quarantennio; invece, grazie all'accostamento
politico, economico e culturale ai paesi della Comunità Europea (ed in
particolare agli investimenti della Germania socialdemocratica e della
Gran Bretagna), l'economia spagnola conobbe una rapida crescita. Nella
cultura divennero popolari le tendenze anticlericali, che Almodovar impersona,
in reazione al rigido controllo clericale imposto durante il franchismo.
Ma Légami! ha i meriti artistici di una vera commedia amorosa?
Se, come spiega Socrate, amore non è un dio ma un dèmone,figlio
di mancanza e di ingegno, allora certamente Ricky bene impersona
un tale dèmone. E se, come insegnano le commedie del grande cinema americano
(come Scandalo a Filadelfia (1940) di George Cukor, con Katherine
Hepburn, Cary Grant e James Stewart) amare è anche fare i conti con i propri
limiti ed accettare l'altro pur nei suoi limiti, allora certo Ricky e Marina
(ottimamente interpretati da Victoria Abril e Antonio Banderas) arrivano a
riconoscere ed accettare i loro limiti, ed a capire di essere in grado di
dare all'altro quello che gli serve (proprio come i personaggi di
Scandalo a Filadelfia). Ricky dimostra di essre capace di accettare
i lati oscuri dell'amata, la sua addizione alla droga, e si offre come marito
e padre dei suoi figli, Marina vede di potergli offrire i legami di una
famiglia che Ricky non ha, ed una cura quasi materna del suo disadattamento
e marginalità sociale, che lo porta a tattiche di seduzione da uomo delle
caverne. L'aspetto sado-masochistico o il legame ambiguo che talora si
stabilisce tra rapitore e rapito (sindrome di Stoccolma) non mi sembrano
temi veramente centrali nel film.
Ma allora Ricky e Marina hanno veramente trovato l'altra metà secondo
il mito del Banchetto di Platone? Il film riesce stilisticamente
convincente proprio in quanto l'ironia e la leggerezza di Almodovar evitano
sia i toni troppo scuri, sia il ridicolo che inevitabilmente nascerebbe
dall'adozione di un tono troppo alto in una materia che ha aspetti sordidi.
Nei momenti di pausa dell'azione alcune notazioni ironiche o sentimentali
del regista aggiungono elementi che aiutano a situare il film nel contesto
storico ed a renderne plausibile il tono emotivo.
Dopo essersi uniti, Richy e Marina siedono di fronte alla televisone nella
casa vuota in cui Richy l'ha portata, impersonando i coniugi normali che
aspirano a divenire. Marina: "Quanti bambini vuoi?" Ricky: "Tre, quattro,
quanti saranno necessari!". La televisione ha appena rappresentanto una
pubblicità delle assicurazioni volontarie di vecchiaia: "Perché i tedeschi
sono tanto sicuri nella loro vecchiaia? Perché pensano in anticipo alla loro
pensione, mentre noi spagnoli passiamo il tempo a ballare il Tango" dice
la voce, mentre sullo schermo si vede un biondo giovane SS che sottoscrive
una pollizza ed una coppia di spagnoli campioni di ballo.
Quando Ricky consente a Marina di telefonare a sua madre che vive in
provincia, questa sta cucinando la peperonata per la nipotina, e spera
che la madre venga a riprendersela presto; ma intanto se ne occupa come
fanno tutte le nonne mediterranee dei giorni nostri. La madre di Marina
è del tutto ignara di quel che sta succedendo alla figlia, e dei suoi problemi
di droga, ma conta sul fatto che c'è la sorella maggiore Lola a prendersi cura
di lei nella grande città. Marina si commuove al pensiero della peperonata:
"Te la metto nel frigo, così diventa più buona", risponde la madre.
In realtà Marina si commuove pensando alla famiglia che lei ha e Ricky no,
e capisce che forse questa famiglia potrebbe divenire una risorsa anche per lui.
Dopo che Marina è stata liberata dalla sorella ed è fuggita, Ricky va a
cercare l'unico luogo dove sono le sue radici, la casa del padre, e trova
un villaggio in rovina. La Spagna dello sviluppo post-franchista è un paese
dove la continuità della vita sociale è stata interrotta ed i ricordi di un
passato anche recente sono difficili da ritrovare.
Nel tramonto tra colline indorate e laghi si vede la macchina che porta
Lola e Marina a raggiungere Ricky. Dopo il bacio che suggella il lieto fine,
i tre si riconciliano nella macchina - stanno presumbilmente andando a
trovare la mamma dove troveranno la peperonata. Cantano in tre una canzoncina
trasmessa dalla radio dell'auto: "Resister!" è il ritornello, far continuare
la vita, resistere al meglio agli sconvolgimenti del mondo e della società,
senza illusioni. La commedia spagnola è onesta in questo: il sentimentalismo
non la soffoca.